Presidente, anche noi riscontriamo motivi di incostituzionalità relativi a questo provvedimento - che andrò a elaborare un attimo -, essenzialmente per tre ragioni: in primo luogo non vediamo l'urgenza delle norme contenute nel decreto; secondo, riscontriamo un'eccessiva eterogeneità delle norme; terzo, ma soprattutto, questo provvedimento contiene una marea di condoni e sanatorie che costituiscono l'ennesimo regalo ai furbi e l'ennesima fregatura per gli onesti. Le misure estremamente eterogenee previste nel decreto costituiscono di per sé l'evidente dimostrazione di carenza del requisito della straordinarietà del caso e della necessità e urgenza di provvedere. Ai sensi del secondo comma dell'articolo 77 della Costituzione i presupposti per l'esercizio senza delega della potestà legislativa da parte del Governo riguardano il decreto-legge nella sua interezza, inteso come insieme di disposizioni omogenee per la materia o per lo scopo, mentre vediamo una molteplicità di misure che si pongono in contrasto con il necessario legame tra il provvedimento legislativo urgente e il caso che lo ha reso necessario, trasformando questo decreto-legge in un ammasso di nome assemblate il cui unico legame è dato soltanto da una casualità temporale.
Come ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza n. 22 del 2012, mentre i cosiddetti decreti chiamati “Milleproroghe”, sebbene attengano ad ambiti materiali diversi ed eterogenei, devono obbedire alla ragione unitaria di intervenire con urgenza sulla scadenza di termini il cui decorso sarebbe dannoso per interessi ritenuti rilevanti dal Governo e dal Parlamento o di incidere su situazioni esistenti, pur attinenti ad oggetti e materie diversi, che richiedono interventi regolatori di natura temporale, risulta invece in contrasto con l'articolo 77 della Costituzione la commistione e la sovrapposizione nello stesso atto normativo di oggetti e finalità eterogenei in ragione di presupposti molto, molto diversi tra loro.
Tale ultimo caso riguarda con tutta evidenza il presente decreto-legge, che nella stessa relazione palesa la molteplicità delle sue finalità enumerando quali scopi del decreto, da un lato, la garanzia della continuità, l'efficienza e l'efficacia dell'azione amministrativa e l'operatività di fondi a fini di sostegno agli investimenti, dall'altro la necessità di assicurare il completamento delle operazioni di trasformazione societaria e di conclusione degli accordi di gruppo previste dalla normativa in materia di banche popolari e banche di credito cooperativo. Ma è sufficiente leggere l'elenco del dossier del Servizio studi del Parlamento per capire che siamo di fronte a un provvedimento che ha un alto profilo di illegittimità costituzionale. La puntuale giurisprudenza costituzionale in materia - abbiamo due sentenze, quella della Corte n. 171 del 2007 e la decisione n. 128 del 2008 - ha stabilito che l'esistenza dei presupposti di costituzionalità di cui all'articolo 67, che citavo poc'anzi, della Carta fondamentale non possa evincersi dall'esistenza delle ragioni di necessità e urgenza.
Inoltre, questo decreto è stato arricchito nel corso dell'esame al Senato di ulteriori, nuovi ed assolutamente eterogenei argomenti, che dimostrano di nuovo la carenza della necessità e dell'urgenza a provvedere: da un lato vi sono numerose misure di condono e sanatoria, che presentano, tra l'altro, specifici profili di incostituzionalità; dall'altro vi sono tutta una serie di altre misure, che riguardano le Ferrovie dello Stato, la proroga del bonus bebè, le misure per potenziare gli investimenti in reti a banda ultra larga, la creazione di un fondo per il maltempo, le norme in materia di cassa integrazione per riorganizzazione o crisi aziendale e l'incremento del fondo della partecipazione italiana alle missioni internazionali previsto nella legge quadro n. 145 del 2016, il cui finanziamento ordinario certo non è da essere considerato un caso straordinario, è una contraddizione in termini.
Insomma, è un decreto omnibus che omnibus non è, una costante dei provvedimenti di questo Governo. Sono trascorsi solo pochi giorni dall'ultimo voto in quest'Aula in cui la Camera è stata chiamata a votare un testo, quello della manovra di bilancio, che un minuto dopo essere stato licenziato non sarebbe più esistito. Le recenti polemiche sorte in seno all'Esecutivo sull'inserimento di nome sul condono fiscale nel decreto-legge di cui ora se ne è diluita la traccia e che non sarebbero state esaminate e approvate dal Consiglio dei ministri è una diretta conseguenza di una modalità di legiferare basata sull'abuso dei decreti-legge. Sarebbe, quindi, quanto mai opportuno affrontare tali tematiche attraverso lo strumento di disegni di legge ordinari, come prescrive la Costituzione.
Ma, oltre al metodo, non ci convince anche il merito del provvedimento, soprattutto perché abbiamo delle forti perplessità sul merito. La prima riguarda la complessiva tenuta del sistema tributario, che il decreto in esame mette, di fatto, in discussione, minando il principio stabilito dall'articolo 53 della Costituzione in base al quale tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Questo è un principio che rappresenta non solo un criterio di commisurazione del prelievo tributario rispetto al reddito personale, ma anche il presupposto di legittimità dell'imposizione tributaria, che, a sua volta, non può prescindere dal principio di uguaglianza sancito nell'articolo 3 della Costituzione, che bandisce qualsivoglia trattamento fiscale differenziato. Si tratta, infatti, di un articolato che continua a prevedere sanatorie e condoni che minano la credibilità dell'intero sistema tributario di fronte ai cittadini, rischiando di compromettere gravemente le future entrate fiscali.
Le misure di sanatoria vengono disposte al fine di favorire chi non ha adempiuto correttamente alle proprie obbligazioni tributarie e per fare cassa nell'immediato a discapito delle future entrate, senza che vi sia anche sola parvenza di un riordino del sistema fiscale, di cui, invece, avremmo gravemente bisogno nel nostro Paese. In questo contesto sarebbe utile chiedersi se ha senso mantenere a regime una pletora di istituti di definizione e dialogo con i contribuenti introdotta nel corso degli ultimi anni dai precedenti Governi se poi questi vengono depotenziati da un provvedimento definitorio una tantum, come fanno le numerose norme fiscali previste in questo decreto. La seconda grave ferita al nostro sistema fiscale è costituita dalla caratteristica di queste misure definitorie, come, ad esempio, l'intervento previsto dall'articolo 3, che reca la disciplina della definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione.
Anche l'intervento previsto dall'articolo 4, ovvero il relativo stralcio dei debiti tributari fino a mille euro affidati agli agenti della riscossione, che in gran parte, poi, riguarda i crediti per i comuni, come la TARSU, l'ICI, contravvenzioni stradali, rette scolastiche, oltre che le regioni per il bollo auto, lede il principio di autonomia degli enti locali, provocando, tra l'altro, un inatteso deficit di bilancio per gli enti territoriali coinvolti, che, stando alle stime dell'ANCI, andrà a gravare sui carichi comunali per quasi quatto miliardi di euro. Al riguardo, sarebbe stato più rispettoso dell'autonomia locale concedere in luogo dello stralcio un termine all'ente creditore per la riattivazione del credito non prescritto mediante la notifica di un'ingiunzione di pagamento entro una data prestabilita; almeno dare l'opzione ai comuni di poter provvedere alle proprie entrate, salvaguardando, per tale via, il bilancio degli enti locali coinvolti.
Infine, si evidenzia un'altra grande ingiustizia che contiene questo decreto, che è l'articolo 25-novies, introdotto al Senato, che istituisce, a partire dal 1° gennaio dell'anno prossimo, un'imposta sui trasferimenti di denaro effettuati verso Paesi non appartenenti all'Unione europea dai cosiddetti money transfer: una misura che colpisce in maniera discriminatoria le rimesse dei migranti regolari, persone che da anni lavorano, vivono e pagano le tasse in Italia. Questa è una norma ingiusta e crudele. Per non parlare del rischio che, aggiungendo una tassa a un contesto già caratterizzato da altissime commissioni, si favorisce il ricorso a canali di trasferimento illegali. La misura contrasta, inoltre, con la tendenza a livello internazionale ad agire per abbattere il costo di tali commissioni.
Durante il G8 del 2009, che si è svolto proprio qui in Italia, a L'Aquila, fu stabilito di portare queste commissioni al 5 per cento; lo stesso obiettivo fu ribadito al G20 di Cannes nel 2011 e a Brisbane nel 2014. Inoltre, all'interno gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, è fissato l'impegno di ridurre i costi di queste commissioni al 3 per cento entro il 2030. Insomma, Presidente, a seguito di tutte queste motivazioni, noi chiediamo di non procedere all'esame di questo decreto